di Laura Forti
Dragana L’uomo nasce tenero e fragile, muore duro e forte. Tutti gli esseri nascono teneri e delicati, muoiono rinsecchiti e scarni. Per questo ciò che è duro e forte, è compagno della morte, ciò che è tenero e fragile, è compagno della vita. Tao Te King. L’azione si svolge in un “dentro”, una stanza di ospedale, dove il Padre sta morendo, e in un “fuori”, la sala d’aspetto. Ci sono anche dei momenti “a parte”, dei luoghi astratti dove i personaggi sono soli con sè stessi. Basterà la luce a definirli. FUORI, NELLA SALA D’ASPETTO DI UN OSPEDALE. Rumori di ospedale (altoparlanti che fanno annunci, porte che sbattono, le ruote cigolanti del carrello per il cibo: chiudete gli occhi e immaginate un ospedale). Gina è seduta, con lo sguardo assente. Tira fuori dalla borsa il cellulare, fa per comporre un numero ma lo ricaccia subito dentro quando vede Lele, suo fratello. Porta in mano diverse sporte della spesa di plastica. LELE: Allora? Sono arrivato prima che ho potuto. Lui come sta? GINA: Non lo so. Non dicono niente. LELE: Non volevano farmi passare. Non era ancora orario di visite. Mancavano dieci minuti. Quell’infermiera è una nazista. Si siede, posa i sacchetti sbuffando.
GINA: Da dove vieni? Sembri uno sfollato bosniaco. LELE: Da casa di Franco. Stanotte ho dormito lì. GINA: Quei sacchi? LELE: Devo portare i vestiti in lavanderia. GINA: Giò ha sbarrato i cancelli, eh? LELE: Dice che vedere il mio bucato steso le dà sui nervi. GINA: Direi che ha sbarrato i cancelli. LELE: La mamma è tornata a casa? GINA: Poveretta non ne può veramente più. Lui la martirizza, non gli va bene niente. Come gli sistema le ciabatte, come gli mette il cuscino dietro la schiena. Il fatto è che la vorrebbe qui ventiquattro ore al giorno. LELE: Ha rimosso che sono separati. GINA: Ma lei no. Non so quanto sia ancora disposta a reggerlo. LELE: Se rompe così tanto le scatole, vuol dire che sta meglio, no? GINA: Stanotte ha vomitato due volte. LELE: Cristo, ci sarà pure qualcosa da fare. GINA: Hanno detto che è molto grave. Che il tumore c’era già da chissà quanto tempo. E’ molto debilitato. LELE: Non ci credo, fino a un mese fa era pieno di forza. Andavamo perfino a correre la mattina. GINA: Succede sempre così. Arriva all’improvviso. LELE: Possibile che non riescano a capire dov’è questo cancro? GINA: Forse è partito da quel neo strano che si è fatto togliere, ricordi? Forse è partito da lì. LELE: Sta succedendo tutto troppo in fretta. C’è qualcuno con lui nella stanza? GINA: Un ragazzo con una gamba maciullata. Un incidente. Gli è passato sopra un camioncino. LELE: Che allegria. Metterlo in una stanza a pagamento? GINA: Oh certo, vai a dirlo a lui. Sai come la pensa sui soldi e sul risparmio. LELE: Sta morendo e pensa a risparmiare.
GINA: Lui crede che sia un’ulcera. LELE: Che storia! Forse dovremmo cominciare. GINA: No. Con il suo carattere sarebbe peggio. Molto peggio. LELE: Già. Ha sempre avuto il terrore della morte. Sempre stato superstizioso. I dieci comandamenti. Non passare sotto la scala. Non attraversare dopo il gatto nero, tocca legno, toccati il pacco. E’ anche una delle poche cose che ho sempre saputo di lui, che non sopporta i rumori e la morte. GINA: I rumori? Che c’entrano i rumori? LELE: Che cantassimo, che suonassimo uno strumento. GINA: Senza offesa, eri uno strazio quando facevi Rubinstein al piano. LELE: Che ridessimo. Però mi ricordo che faceva dei prodigiosi starnuti. E anche dei rutti. I rumori e la morte. GINA: Grazie per tenermi un po’ su. LELE: A cosa sono serviti tutti quegli scongiuri? GINA: (si alza) Beh, io allora vado. LELE: Aspetta, cosa gli dico se mi chiede qualcosa? GINA: Gli diremo una mezza verità. Che faremo una chemioterapia preventiva. Non dirò proprio chemioterapia. Userò qualche termine difficile e cercherò di rassicurarlo. Di prendere tempo. LELE: E funzionerà? GINA: Dovremo recitare molto bene. LELE: Se è per questo, sono un campione. Sono i termini tecnici che mi fregano. Tu sei un medico. Sei abituata a queste parole assurde. Le avete inventate apposta per non farci capire cosa abbiamo. Ma io non riesco a usare le parole difficili. Anche in banca, “investimento” “tasso di interesse” “aliquota” dette da me suonano ridicole. (tira fuori di tasca un sacchetto confezionato) Vuoi? GINA: Dio, che è quella roba? LELE: Le ho prese alla macchinetta giù sotto. Sprintles, springles, noccioline ricoperte di caramello. Non so neanche che sapore hanno. GINA: E allora perchè le mangi? LELE: Non mi guardare così, mi faccio abbastanza schifo da solo. Oggi non riesco a stare a dieta. Ho bisogno della mia vecchia corazza. Non ero pronto per tutto questo. GINA: E’ una legge naturale. I genitori invecchiano, si ammalano e muoiono. LELE: E poi sono stufo di stare a dieta. Digiuno e ingrasso non capisco di cosa mi riempio GINA: Di springles per esempio. LELE: (Fruga rabbiosamente in un sacco) Guarda: barrette dietetiche ai cereali, gallette di riso soffiato, a pranzo formaggio molle. Ecco qui il risultato! No, è di altra merda che mi sto riempiendo. Prima la separazione in casa, ora nostro padre. GINA: Non c’è niente da fare con Giò? LELE: E’ meglio così, se non si trova la strada per riparlarne vuol dire che era finita. GINA: Sembri rassegnato. LELE: Non mi fa fare neanche il bucato! Le mie enormi mutande adesso la irritano! Ci parliamo a monosillabi. Oppure mi lascia i post it. Vado. Torno alle sei. Spengi. Paga. Li odio, quei cartellini gialli. E’ diventata un arbitro. Castrante e neutrale, come i suoi bigliettini. GINA: Sei arrabbiato, ecco cosa sei. LELE: No, perché? Certo, potrebbe almeno evitare di portarmi a casa i suoi amichetti, quello si. Farmeli trovare in casa nostra come fatto compiuto lotrovo ignobile. E anche quelle sue amiche stronze, tutte con un divorzioalle spalle. Che stanno lì a dirle che io sono un perdente con le lonze che ciondolano. Come se loro fossero tutte Uma Thurman. Poi la sera esce, non si sa dove va. GINA: Perché non glielo chiedi?
LELE: Dice che non sono fatti miei. Che si vuole divertire. Che prima la facevo ridere e adesso la faccio sentire vecchia. Non so cos’è successo, non c’è più entusiasmo. GINA: E’ normale dopo tanti anni. LELE: Già, forse uno deve solo prendere atto. Che siamo due che camminano insieme da molto su una strada in salita e che siamo stanchi. Forse è perché non abbiamo avuto figli. Ci abbiamo pensato troppo. I soldi che non bastavano, il lavoro. Invece per un figlio bisogna chiudere gli occhi e buttarsi, senza tante masturbazioni. GINA: Quello di sicuro. LELE: C’è poco da scherzare. Sono a pezzi. GINA: Dai, secondo me vuole solo provocarti. LELE: Lo so, è un meccanismo perverso: lei mi provoca perché io le dica una parola e io quella parola non riesco proprio a dirgliela. Neanche vaffanculo. Preferisco inghiottire. GINA: Così stai da Franco? LELE: Si. Sto per entrare nel club degli stronzi con il divorzio alle spalle. GINA: Prenderti una casa tua? LELE: Devo ancora finire di pagare il mutuo di questa. Forse potrei stare in campagna da papà per un po’, che dici? GINA: Lo dai già per morto. LELE: No, una soluzione provvisoria. Non farmi sentire subito in colpa. Che c’è, disapprovi? GINA: Mi sembra solo assurdo che con Giò non ne riparliate dopo tanti anni che siete insieme. LELE: Ora non ho la testa. Te l’ho detto, troppe cose , troppo in fretta. GINA: Stai attento che non passi troppo tempo. Potrebbe anche piacerle questa libertà. LELE: Sei incoraggiante. GINA: Si fa presto a riadattarsi e a chiudere le ferite. D’accordo, chiedi le chiavi a papà, ma con tatto. Non vorrei che lo prendesse come un segno premonitore e partisse con gli scongiuri. Cerca di non farlo agitare. E non dar retta a quello che dice. Hanno cominciato con la morfina. LELE: La terapia antidolore? Siamo già a questo punto? GINA: Per ora solo degli oppiacei blandi. LELE: Come parli? Che vuol dire? GINA: Sono piccole dosi, per ridurre la tossicità. LELE: La tossicità? GINA: La dipendenza. Comunque stanno facendo effetto. Straparla, chiede di essere rassicurato e può succedere che diventi sgradevole. LELE: Può succedere? E’ sempre sgradevole! GINA: (suona il cellulare) “Pronto? Si calmi Signora. Le ho detto che non è niente di grave. Sua figlia non c’è? Me la passi. Salve”. (a Lele, pescando una springle dalla confezione) Questa è una stronza. (al telefono) “Si, due compresse, una a pranzo e una prima di dormire. Cerchi di non lasciarla sola, almeno per oggi. Certo, capisco che ha degli impegni, ma almeno per il momento sua madre avrebbe bisogno di qualcuno accanto. Va bene, faccio un salto. Tra mezz’ora sono da voi” (riattacca) Pensano che avere una madre anziana sia una malattia sociale. Questa ha sempre qualcosa da fare. Mai una volta che ci passi il pomeriggio. LELE: Sembri molto stanca GINA: Non è niente. LELE: Davvero, sei pallida. GINA: Sono in piena crisi adolescenziale. LELE: Le figlie di Antonio? GINA: Martina ha l’esame di terza media e Sabrina la tonsillite, forse si deve operare ma non ne vuole sapere di restare chiusa in casa mentre Valentina, la sua ex amica del
cuore, è a piede libero e cerca di rubarle il fidanzatino. Antonio resta fino a tardi in ufficio a far quadrare i bilanci della ditta. Finisco di fare ambulatorio ai miei vecchietti e vado dritta a risentire la prima guerra mondiale, ad ascoltare odi del Carducci infilando termometri e preparando gargarismi. Quando loro sono finalmente a letto preparo la cena per noi due. Televisione e dopo un quarto d’ora lui dorme. Mi ritrovo a stirare alle tre del mattino. Ora, per movimentare il tran tran, c’è la variante dell’ospedale e papà che sta morendo. LELE: Quel progetto in Africa? GINA: I miei colleghi sono partiti. LELE: Anche Rodolfo? GINA: Tutto il gruppo. Due mesi fa. LELE: Peccato, ci tenevi molto. GINA: Non era proprio possibile. Non adesso. LELE: Tu come la metti con il tempo che passa? GINA: Mi cospargo di crema antirughe, evito gli zuccheri, dico bugie. E cerco di non pensare. LELE: E’ una strada in salita. GINA: E’ una strada in salita. Restano un attimo in silenzio, ad ascoltare gli annunci.
LELE: Giulia? GINA: Ha telefonato a nostra madre. Voleva “tanto” venire ma ha perso di nuovo l’aereo. LELE: Da dove stavolta? GINA: Amburgo, Zurigo non so. Sarebbe quasi meglio che se ne restasse dov’è. LELE: E’ anche suo padre. GINA: E se ne ricorda adesso? Adesso che c’è da ereditare? LELE: Ce l’hai con lei, vero? Sempre per quella storia della suora? GINA: Non ne parliamo. LELE: Eppure non sembri tu quella. Una suora missionaria. GINA: Una suora laica per l’esattezza, così mi innamoro del medico e ci scappa pure qualche scena di sesso. Ma non se ne fa nulla. Il nostro è un amore tormentato e impossibile. Lui è sposato. Io soffro. Un personaggio patetico. LELE: Lo sai che ha anche vinto un premio per la miglior soap? GINA: Quel vampiro. Quella ladra di vita. LELE: Ti ricordi quando faceva il teatro di avanguardia? GINA: Come dimenticare quei testi incomprensibili mugulati al microfono. LELE: Perché, quando si è spalmata di nutella tutta nuda nello spettacolo sulla bulimia? GINA: Era ketchup. E non era sulla bulimia, era una protesta contro la guerra in Libano. LELE: E poi finiva per terra in stile feto. Sempre senza un soldo. E ora invece ha svoltato con “Missione d’amore” e viaggia in Business class. GINA: Perlomeno non fa più il feto impegnato. LELE: Però ora è diverso, con questa situazione di papà. Forse in questi casi si potrebbe. GINA: No. mi dispiace. E’ più di quanto possa tollerare. Che sia sempre stata un’egocentrica, questo si può tollerare. Che abbia sempre perso i libri e i vestiti che le ho prestato, anche questo si può tollerare. Ma che abbia manipolato la mia vita per farci successo lei, eh no, questo non si può assolutamante tollerare. Un annuncio che avvisa del ricevimento dei medici. Gina fa per uscire
LELE: Per favore, aspetta ancora un po’. GINA: Devo intercettare il medico, quel Morelli, prima che lo veda. LELE: Non me la sento di entrare.
GINA: Ma insomma che ti prende? LELE: Non lo so. Per dirla con un termine tecnico, tutto a un tratto ho paura. GINA: Non fare lo scemo, faccio tardi, davvero. LELE: Prendiamo qualcosa al bar? GINA: Non posso. LELE: Un cappuccino? Un maritozzo doppia panna? Fermati un attimo, sei nevrotica. Ti dovrai pur rilassare. GINA: Non dirmi cosa devo fare per favore. Scusa ma non lo sopporto. Non l’ho mai sopportato. Non voglio rilassarmi. Mio padre sta morendo. LELE: E’ anche mio padre. GINA: Ho bisogno di una boccata d’aria. LELE: Cazzo, deve far parte del mio kharma del momento, essere trattato da stronzo da tutte le donne che incontro. Giò, la nazista e adesso te. GINA: (voltandosi) Vieni da noi a fare una lavatrice dopo? LELE: No, mi arrangio fuori. GINA: Dico sul serio. LELE: Anch’io, adoro fare le lavatrici al wash and dry. Mi sembra di vivere a New York. Mi siedo sulla panchina e immagino di ricominciare una vita tutta nuova mentre là dentro girano le mie vecchie mutande, i miei vecchi calzini. Sto lì e vittimizzo in solitudine. GINA: Sembra eccitante. Titolo: “Alla vecchia biancheria”? LELE: Potrei essere un compositore bohemien, un miliardario strambo con la fissazione del wash and dry o un serial killer che ripulisce la camicia dalle tracce di sangue dell’ultima vittima sgozzata. GINA: Che si chiamava Giò. LELE: Un giorno mi rapo a zero e mi metto a guidare il taxi. GINA: Come si chiamavano quelle pasticchette? Springles? Sei sicuro che siano noccioline? LELE: (imita De Niro in Taxi driver) Ehi? Stai parlando con me? GINA: Cerco di parlare con il medico e poi faccio un salto prima di andare dalla stronza. Ti ritrovo?
LELE: (accartoccia il sacchetto di noccioline, lo getta in un cestino) Quale sarà il rumore della morte? Silenzio. E molto tempo libero per i pensieri. DENTRO, NELLA CAMERA D’OSPEDALE. Il letto del Padre, un Paravento che lo separa dagli altri letti della stanza.
PADRE: Sto morendo. LELE: Non dire così papà. PADRE: Cosa mi succede? LELE: Non succede niente. PADRE: Dite che è un’ulcera, ma fa troppo male per essere un’ulcera. LELE: I dottori hanno detto che è normale avere un po’ di dolore. PADRE: Questo non è un po’ di dolore. Stamani stavo meglio, ora fa di nuovo male, come se fosse un fuoco dentro, una bocca che mi mangia. Dove sono i giornali? Avevo chiesto i giornali.
Lele gli mette dei giornali sul letto.
PADRE: Voglio vedere come vanno quelle azioni che ho comprato. Dovrebbero essere salite. E il resto? LELE: (si fruga in tasca, tira fuori qualche spicciolo) Si, ecco. PADRE: Metti lì, sul comodino. Anzi no, mettilo nel portafoglio. Non mi fido di questi infermieri, hanno le mani lunghe. Dov’è vostra madre? LELE: E’ tornata a casa a riposarsi un po’. PADRE: Deve stare qui non voglio stare da solo. LELE: Ci sono io. PADRE: E’ il suo dovere di moglie. LELE: Vi siete separati, ricordi? PADRE: Ci dev’essere una donna al capezzale di uno che muore. Sto male, mi viene da vomitare. LELE: Vuoi che ti porti un catino? PADRE: Ma che catino, voglio i dottori. LELE: Sono passati stamani. PADRE: Certo che sono passati stamani, me ne sono accorto, non ero a Disneyland solo che ci voglio parlare di nuovo. LELE: Il medico ha finito il turno, è andato a casa. PADRE: Che gliene frega a quelli. Quando sei vecchio non ti vuole più nessuno. A nessuno importa che tu viva o muoia. E’ triste ma è così. Da quel ragazzo sono stati un’ora. Ma lui è giovane, mentre io sono spacciato ormai. LELE: Stai tranquillo papà. PADRE: Devi parlarci tu. Devi difendermi. Devi portarmi via. Che schifo andarsene così. Le mani che tremano, il respiro che se ne va. LELE: Non te ne stai andando, tra poche settimane torniamo a correre vedrai. PADRE: Non ci resisto qui. Pensa che non riesco neanche a mangiare, a buttare giù nulla, neanche una minestrina. Non ho fame, è tutto acido. LELE: Forse dipende dal cibo dell’ospedale. PADRE: Giò cucina bene. Mi piace come fa quella zuppa di verdure con l’orzo. LELE: TI farò fare qualcosa da Giò. PADRE: Si, Giò cucina bene, guarda che pancia ti è venuta. LELE: Non ricominciamo. PADRE: Saresti un bel ragazzo peccato che tu non riesca a perdere neanche un etto. LELE: Invece ho buttato giù diversi chili. PADRE: Dobbiamo tornare a correre la mattina. LELE: Lo faremo presto. PADRE: Due anni fa eri più magro. Ti ricordi com’eri magro per l’anniversario di matrimonio, quando ci avete preparato la festa a sorpresa, a me e alla mamma? Facevi una dieta omeopatica? LELE: No, l’omeopatica l’ho provata un anno fa. Era il fantastico periodo anfetamine. PADRE: Tutti insieme, sulla veranda. LELE: Ero più magro ma prozac dipendente. PADRE: Ho ancora la fotografia che ha scattato Gina. Prendila, è là nel portafogli. LELE: La conosco. PADRE: Mi piace quella foto. Io lo dico per la tua salute lo sai che aumenta il rischio d’infarto? LELE: Sono nato grasso, morirò grasso. E’ una questione di coerenza. PADRE: Fai un lavoro troppo sedentario. Basterebbe poco esercizio ogni giorno. Un po’ di disciplina. Le scale di casa, due giri di corsa dell’isolato. Io da giovane ero asciuttissimo.
Mi chiamavano Amedeo, come Amedeo Nazzari. Alle donne intrigava questa somiglianza. Anche adesso senti. Tocca qui. Tutto muscolo. LELE: Si, pazzesco. PADRE: Sei un buon figlio, sai. Ti voglio bene. LELE: Anch’io ti voglio bene. PADRE: Sei sempre stato buono. I bambini ti prendevano in giro e tu scappavi via dovevamo venirti a cercare perchè ti rintanavi nei posti più strani. Ma non ti arrabbiavi mai, mai un litigio, un pugno sul naso. LELE: Ero semplicemente codardo, sapevo che le avrei prese. PADRE: Eri un bambino molto buono. E anche allegro, da piccolo. Le tue sorelle no, sempre state complicate. Le donne sono diverse. LELE: Eccome. PADRE: E’ venuto nessuno per me? LELE: Chi doveva venire? PADRE: In questo posto c’è troppo silenzio, tutto il giorno. Tutto scorre lentamente. Il dolore ha un ritmo lento, un tempo infinito che ti scava dentro. Sembra di stare in una strana prigione. Io ho bisogno di voci, di informazioni, capito, non di lamenti. Qui c’è gente che muore. Ma io alla morte gli vado in culo. Non voglio morire ora. Toccati. LELE: Papà! PADRE: Ho detto toccati! In culo alla morte! (Lele si tocca, furtivamente) Bravo! E adesso devo pisciare. LELE: Ti porto la padella. PADRE: No devo proprio andare io nel cesso. LELE: Sei molto debole. PADRE: Dove sono le mie ciabatte, dove mi ha messo le ciabatte tua madre, non trovo più niente. LELE: Hai la flebo. Attento. PADRE: Io metto le cose sul comodino secondo un ordine, qui l’acqua, qua le caramelle, nel cassetto il rasoio e il portafoglio e per terra le ciabatte, sarebbe così semplice, me lo fa apposta LELE: Non dire così. PADRE: Si me lo fa apposta per confondermi. Lo fa per essere più forte. E’ un vecchio gioco. LELE: Andiamo. PADRE: Non riesco a fare la pipì con te vicino. LELE: Devo sorreggerti papà altrimenti cadi giù. PADRE: Ho sempre detestato che gli altri mi guardassero l’uccello, anche nei cessi pubblici, succede anche a te. LELE: Si, è fastidioso non ti guarderò. PADRE: Quei froci sempre a spiarmi. eppure tutti abbiamo il bisogno di confrontarci l’uccello, tutti gli uomini, noi maschi, insomma. Se è grosso, se funziona. tu come sei messo? LELE: Papà per favore. PADRE: Sei mio figlio, cosa c’è di male? LELE: Sono messo bene. PADRE: Tutto bene con Giò allora. Tientela cara Giò, è una gran bella donna. il sesso è importante in una coppia. L’intimità. E poi aiuta a stare in forma. Ecco ragazzo sorreggimi mi sento un po’ stanco. LELE: Non dovevi alzarti dal letto, devi obbedire a quello che ti dicono i medici. PADRE: Sei noioso, bla bla bla bla, sempre la stessa storia, fai questo fai quello. Non sarai così noioso anche con Giò, le donne vanno fatte ridere. Voi ridete? LELE: Ci ammazziamo dalle risate.
PADRE: Cerca di farla ridere. Tua madre non era capace di ridere. Lei odia tutto quello che è fantasia e umorismo. Non le piace Fellini. LELE: Riposati adesso papà. PADRE: Come si chiamava quel film di Fellini, quello in cui lui rivede le amanti del passato. Fellini, si, con quei personaggi surreali. la tabaccaia. con quelle tettone, proprio un senso dell’assurdo. A me piace. LELE: Papà devo chiederti un favore. PADRE: In fondo sono un uomo semplice.
LELE: Ho bisogno di stare in campagna da te per un po’. Solo qualche giorno. Devo capire delle cose. Ho bisogno di un po’ di tranquillità. Silenzio. Papà? Dormi? Papà. PADRE: Che c’è? Ho chiuso un attimo gli occhi. LELE: Ti chiedevo se posso stare un po’ da te, in campagna. PADRE: A casa mia? LELE: Si. PADRE: Avete lavori in casa? LELE: No, sono io che. PADRE: Un’amante? LELE: Macché amante. PADRE: Problemi con Giò? LELE: E’ un momento mio. Il lavoro, i soldi che non ci sono mai. Un po’ di accumulo. PADRE: E io dove vado scusa? Io da qui massimo due giorni esco! In culo all’ospedale!
LELE: Mio padre sta morendo. E io mi sento lontano. E molto grasso. Se siete interessati a leggere “Terapia antidolore” contattate direttamente Laura Forti alla sua mail [email protected] o al suo cellulare 339 2959751. Terapia antidolore è protetto da SIAE.
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