Ancora sulla legge elettorale proporzionale con sbarramento e p

Il premio di maggioranza è un viagra?
Sommario: I. Cosa vuol dire “governo di salute pubblica”; II. Il premio di maggioranza; III.
La pendenza dei quesiti referendari ed i loro effetti paradossali; Conclusioni.
I. Cosa vuol dire “governo di salute pubblica”Una seria legge elettorale, che deve prevedere istituti che aiutino ad eliminare gli attuali partitin non può abbinarsi a delle riforme costituzionali, che debbono avere l’apporto di tutte le forze politiche, quindi anche di quelle minori, attualmente presenti, contro le quali la legge elettorale deve farsi (Partito dei comunisti italiani, Verdi, Sinistra democratica, Italia dei valori, Dini-Bordon, Mastella, Lega, Storace-Mussolini, e scusate se dimentico qualcuno). È assai augurabile che il loro elettorato confluisca nei partiti più grandi, favorito anche da processi di aggregazione che assorbano una parte delle rispettive oligarchie (solo ad esempio, Rifondazione potrebbe creare una nuova aggregazione più grande in cui Diliberto, Salvi-Mussi, Verdi e forse Di Pietro possano confluire). Ma ciò che serve è un aut aut dei grandi partiti ai n Questa è la prima fondamentale ragione perché si dovrebbe fare solo la legge elettorale e poi andare al voto.
La seconda ragione fondamentale per tenere distinti temporalmente i due piani riguarda il merito delle possibili riforme costituzionali: in un quadro partitico risanato dalla legge elettorale, e dall’accordo istituzionale tra i due partiti maggiori dei poli, che la può rendere possibile, si potrebbe valutare diversamente alcune prospettive di riforma, che nel quadro attuale sembrano non eludibil Questo, perché è l’odierno trasformismo, portato dalla frammentazione ed dalla presenza di nanetti eccentrici (si badi bene, indipendentemente dalla loro supposta radicalità o moderazi rispetto ai programmi delle due coalizioni, che fa sembrare da superare la forma di governo parlamee veste di una prospettiva positiva fughe federali.
È la ricerca di unità all’interno dei poli che blocca la riforma.
1 Oltre all’evidente condizionamento nel campo del centrosinistra, vorrei ricordare nuovamente un esempio di come i nanetti condizionino anche il centrodestra: nell’autunno 2005, è stato detto che la proposta del non conteggiare alla coalizione, i voti dei partitini che non avessero superato le risibili soglie previste, fosse indice del voler truccare a favore del centrodestra le elezioni, giacché il centrosinistra è più frammentato. Il fatto che questa proposta sia stata ritirata, da una maggioranza di centrodestra che avrebbe potuto utilitaristicamente portarla a compimento, non si deve ovviamente allo strepitare del centrosinistra e di molta dottrina.
2 Da ultimo, G. Sartori, Il ricatto dei nanetti, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007; in questo senso anche il senatore Polito, cfr. LCes, “Bravo Fausto, è coraggioso come Veltroni”, in «il Giornale», 6 dicembre 2007; S. Vassallo, Il sistema tedesco, D’Alema e il “centro cattolico”, in «Corriere della Sera», 6 dicembre 2007.
3 Contra, S. Romano, Riforma della Costituzione. La sua storia e i suoi nemici, in «Corriere della Sera», 6 dicembre 2007.
4 Giacché il problema del sistema politico-costituzionale italiano è la frammentazione non la radicalizzazione.
5 Dissento umilmente, per questo profilo, dal professor Sartori; cfr. Id, Il ricatto dei nanetti, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007.
Si noti, poi una consonanza tra gli obbiettivi presidenziali che da sempre accompagnano le battaglie referendarie del Professor Segni, con recenti dichiarazioni che il Presidente Prodi avrebbe rilasciato di “invidia” verso il sistema francese (cfr. F. Alberti, Prodi: aiuterò il dialogo. Ma rilancia il maggioritario, in Corriere della Sera, 30 novembre 2007). Questa consonanza rivela come il favore per il maggioritario uninominale presupponga assai frequentemente una preferenza verso il cambiamento della forma di governo nel senso del rafforzamento del potere esecutivo.
Ed è solo l’accordo istituzionale tra i veri partiti (AN, FI, UDC, Partito Democratico, Rifondazione) che può trasformare il quadro politico e dare funzionalità alla forma di governo parlamentare, anche, e lo sottolineo, a Costituzione invariata.
Gli istituti di una legge elettorale seria non vengono subiti dalle forze politiche, come si cerca autorevolmente di accred la legge elettorale non è una camicia di forza: la possibilità (non l’obbligo!) di coalizzarsi, lo sbarramento nazionale secco ed a tutti i fini al 5%, il premio di maggioranza nazionale, il voto unico su unica scheda per entrambe le Camere, servono a una seria competizione tra due poli avversari, concordi nel non rastrellare ogni frammento raggrumato di consenso pur di vincere. Gli istituti suddetti non possono sostituire questa volontà politica che voglia stabilizzare il bipolarismo.
I due poli devono allargare il bacino elettoracon la po e non più ospitando nelle loro (o con accordi di desistenza nei collegi uninominali) i padroni dei partitini, per paura che essi vadano con gli L’accordo deve fondarsi su un “governo di salute pubblica” degli stessi partiti. Questo governo non è, né la convergenza al centro dei partiti più moderati, né una grande coalizione, cioè non deve essere un governo politico. È solo un governo per procedere ad una terapia d’urto contro i nanetti, quindi non deve avere altro tema che la riforma elettorale, per poi andare al voto. Dopo il voto, nel nuovo quadro partitico il Pd e Rifondazione da una parte, il Partito del popolo dall’altra insieme ad AN ovvero UDC, potranno riprendere a fare politica con coraggio e con proposte nettamente alternConcordo con il professor Vassallo (Id, Il sistema tedesco, D’Alema e il “centro cattolico”, in «Corriere della Sera», 6 dicembre 2007), quando afferma che il PD debba prendere in considerazione, in alternativa ad andare in solitudine, solo un’alleanza politica con una formazione alla sua ala esterna (si chiami Rifondazione o Cosa rossa); invece non mi preoccuperei tanto, come pure fa lo stesso Professore, della nascita di una Cosa bianca, che possa collocarsi tra il Partito unico del centrodestra e il PD, ed a cui potrebbero voler guardare anche esponenti autorevoli del Infatti se il sistema elettorale che lui propone può servire solo a ridurre la frammentazione, la mia proposta toglierebbe invece 6 Da ultimo: il Presidente Bianco, cfr. “Entro gennaio pronta la bozza del Senato. Alleanze prima del voto? Non obbligatorie?” in «Il Messaggero», 4 dicembre 2007; il senatore Latorre, cfr. G. Paragone, “I piccoli si rassegnino, si cambia sul serio. Il Centro non li salverà”, in «Libero», 2 dicembre 2007; il Presidente Violante (cfr. T. Bartoli, Violante: “C’è una maggioranza sul sistema tedesco”, in «Il Mattino», 4 dicembre 2007; il senatore Polito, cfr. LCes, “Bravo Fausto, è coraggioso come Veltroni”, in «il Giornale», 6 dicembre 2007; M. Stanganelli, “Vassallum”, il sistema che premia i big, in «Il Messaggero», 4 dicembre 2007; M. Segni, Informazione imbavagliata. Le verità sul referendum che la tv non vuole dire. I media la snobbano perché manderà a casa politicanti e partitini, in «Libero», 6 dicembre 2007.
7 E riunire quel consenso ora disperso atomisticamente.
8 Il premio entra in gioco anche per aiutare i partiti consistenti ad aver coraggio, ed a contare solo sulle loro forze per vincere: infatti con esso è necessario solo prendere un voto in più dell’avversario per raggiungere comunque una efficiente maggioranza di seggi nelle due Camere.
9 L’unico accorgimento che mi viene di suggerire (in assenza di una normativa sui partiti e sulla loro democrazia interna) per ovviare a questa perniciosa prassi, è quello di vietare la presenza, in ciascuna delle liste della coalizione, a candidati non iscritti al partito/associazione che esprime quella lista. In questo modo si eviterebbe che gli esponenti dei nanetti sotto soglia e coalizzati, vengano ospitati dai partiti veri. Ma questa sarebbe una norma ridondante ovvero inefficace, nella misura in cui i due poli rispettassero o disattendessero l’accordo limpido suddetto.
10 Non fidandosi l’uno dell’altro, e temendo la sconfitta come foriera delle peggiori conseguenze, ora fanno ciò a scapito della omogeneità del programma, della stabilità della coalizione, e dell’azione politica conseguente.
11 Della necessità di “riforme coraggiose” parla anche il professor Andreatta nel suo, Premio di maggioranza. La rinuncia è un errore, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007.
12 Vassallo afferma che sarebbe questa la vera ragione della preferenza per il sistema elettorale tedesco di una frangia del PD (Id, Il sistema tedesco, D’Alema e il “centro cattolico”, in «Corriere della Sera», 6 dicembre 2007).
completamente terreno sotto i piedi ad una ipotetica terza forza nel mezzo dei due p ed esterna ad essi: il miglioramento deciso del sistema elettorale della Camera dei deputati (unificazione ed innalzamento dello sbarramento al 5%) e la sua importazione anche al Senato della Repubblica (con il premio e lo sbarramento nazionali), con due ulteriori accorgimenti (1. unico voto su unica scheda per il Parlamento; 2. non conteggio dei voti dei partiti coalizzati ma sotto il 5%), darebbe la governabilità matematica, l’alternanza, la cancellazione definitiva del ritorno di un centro inamovibile; sempre presupponendo la volontà politica concorde in tale senso dei due partiti a vocazione maggioritaria.
Quindi, al fine di una seria riforma elettorale, le questioni politiche (come la legge sul conflitto di interessi, sul sistema dei mass media ecc.) devono essere congelate, né, tanto meno, può essere compatibile la continuazione dell’esperienza del II Governo Prodi. E ciò segna una nettissima differenza tra questo governo di tecnica politica, e l’esperimento della Commissione bicam in cui ci fu invece - glissando sul discutibile del merito - una trattativa politica che metteva sullo stesso piano modifiche costituzionali e legislazione ordinaria (che dovrebbe, correttamente, essere prerogativa del solo indirizzo politico di governo).
Si assiste ad una azione denigratoria del premio di maggioranza e dei suoi supposti effetti, a cui vorrei provare a rispondere.
In effetti in dottrina non è stato mai ben ma nella numerosa cerchia dei non estimatori stanno convergendo anche esponenti delle forze politiche che lo hanno introdAndiamo, quindi, con ordine:1) si dice che il premio sarebbe la causa di una rincorsa a coalizzarsi, creerebbe un obbligatorio vincolo di coalizi produrrebbe alleanze disomogenee pur di conseguirlo e vincere.
Mi limito a fare semplici domande:Tolto il premio,I. forse le coalizioni non si formeranno?II. forse i partiti non faranno lo stesso di tutto pur di vincere?III. forse le competizioni elettorali saranno caratterizzate da inviti cavallereschi dei partiti a votare per l’avversario se non si è convinti delle loro proposte?La corsa all’ultimo voto ci sarà sempre, come c’è sempre stata, e questa è la ragione basilare per cui - giova ripetere - il collegio uninominale non è servito (e non servirà) a combattere la frammentazione.
La cosa fondamentale, poi, è che queste considerazione non si devono riferire al premio di maggioranza, giacché questo istituto non ha il compito di combattere la frammentazione e 13 In prospettiva, dei due partiti a vocazione maggioritaria.
14 Contra, le dichiarazioni del senatore Latorre in una recente intervista, cfr. G. Paragone, “I piccoli si rassegnino, si cambia sul serio. Il Centro non li salverà”, in «Libero», 2 dicembre 2007.
15 Da ultimo, A. Manzella, Le lezioni della Finanziaria, in «la Repubblica», 28 novembre 2007. Di contro sono numerosi i giudizi positivi, tra i quali recentemente: R. D’Alimonte, Soglie e circoscrizioni, il trucco è qui, in «Il Sole 24 ore», 11 novembre 2007; Id e A. Chiaramonte (a cura di), Proporzionale ma non solo. Le elezioni politiche del 2006, il Mulino, Bologna, 2007; F. Andreatta, Premio di maggioranza. La rinuncia è un errore, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007; R. De Mucci, Sembra strano ma una soluzione c’è, in «Il Tempo» del 3 novembre 2007.
16 Da ultimo, le dichiarazioni dell’onorevole Cicchitto, cfr. F. Perugia, “Faremo la legge elettorale con AN”, in «Il Tempo», 4 dicembre 2007.
17 In questo senso, l’intervista al professor Ceccanti, M.G. Bruzzone, “Tedesco puro? No. È incompatibile con la nascita del PD”, in «La Stampa», 4 dicembre 2007.
la disomogeneità delle coalizioni. Esso serve, invece, ed è l’unico istituto giuridico che può farlo, a dare la matematica certezza che una coalizione consegua la maggioranza assoluta dei seggi anche per una manciata di voti. Si noti che lo stesso professor Vassallo avrebbe dichiarato che il sistema da lui elaborato non garantisce questo risultato, ma richiede ulteriori modifiche costituzionali sulla forma di governo (cfr. Il governo agonizza in Senato, il PD prepara un voto ispano-tedesco, in Il Foglio, 6 dicembre 2007).
È con un serio sbarramento che si possono conseguire gli obbiettivi che surrettiziamente si assegnano al premio, per affermare che esso non li consegua, ma anzi droghi le forze politiche e le costringa, loro malgrado, ad innaturali accoppiamenti.
Ma dato che l’azione demolitoria coinvolge poi lo sbarramento, si devono conseguentemente fare delle ulteriori osservazioni: è scorretto argomentare che il coalizzarsi vanifica lo sbarramento. La spinta a coalizzarsi agisce anche rispetto alla normativa di risulta dei referendum, al collegio uninominale, al doppio turno di collegio. Infatti: a) per i listoni onnicomprensivi, può dirsi che si sfaldano in Parlamento dopo aver superato lo sbarram Prima, poi, di affermare che non avverranno cambi di casacca per paura di tradire gli elettori, bisognerebbe ricordare gli episodi trasformistici avvenuti tanto nella recente era dell’uninominale, quanto nell’attuale era del proporzionale non razionalmente corretto.
b) per il collegio uninominale, può osservarsi che la distribuzione negoziata delle candidature nei collegi fa sì che l’eletto sia sempre chiaramente identificabcon uno dei partiti della coalizione. Ci si concentra sopra il falso problema delle liste bloccate, dimenticando che il candidato del collegio uninominale, senza primarie e democrazia interna nei partiti, è calato dall’a L’alternativa offerta all’elettore di votare o meno il candidato è parzialissima: costringere un elettore di una certa area a votare il candidato avversario, ovvero a non votare, se non gradisce il candidato imposto, non depotenzia le oligarchie all’interno dei p l doppio turno, oltre che le evidenze del collegio uninominale a turno unico, si può segnalare il fatto che il mercato boar che si è già svolto prima del primo turno, si riapre prima del secondo, anche rompendo gli accordi appena In definitiva, per tutte queste situazioni, come anche per l’ipotesi che io p il rimedio è nell’accordo politico-istituzionale tra i due poli. Senza di esso, il listone referendario avrà la stessa resa effettiva del collegio uninominale - giova ripetere - nelle tre legislature in cui ha operato, ed i nanetti soprav Ma quello che è egualmente 18 Abbiamo già assistito a fenomeni analoghi, ma di “minor taglia”, con la legge attuale e con la precedente uninominale: gli estemporanei partiti usa e getta costituiti in occasione delle elezioni.
19 Come appartenente o come “vicino”.
20 Ed in più, è un illusorio candidato unitario.
21 Né si può dire che scegliere tra due candidati calati dall’alto sia un modo per migliorare la qualità del ceto politico. Questo si potrebbe ottenere, forse, con una rigorosa applicazione dell’art. 49 della Costituzione, nella parte in cui è previsto un controllo della democrazia all’interno dei partiti, che vuol dire possibile avvicendamento delle élites al governo degli stessi.
22 In cui i partitini si vendono al miglior offerente.
23 Altrimenti non si vedrebbe quale sia la necessità di riaprire le contrattazioni.
24 Di coalizioni in un sistema proporzionale con premio, sbarramento nazionale al 5%, secco, ed a tutti i fini.
25 Il più grande spot contro i referendum l’ha fornito la recente conversione del Ministro Mastella, che avrebbe dichiarato: «È il male minore. Il mio vicino di banco in Consiglio dei Ministri, Arturo Parisi, mi dice di continuo: Clemente, perché sei contrario? La legge che uscirebbe dalla consultazione darebbe all’UDEUR grandi chance negoziali, al momento di fare i listoni per le elezioni», cfr. M. Ajello, “Parisi m’ha convinto, meglio il referendum. Dà ai partitini più potere per condizionare”, in «Il Messaggero», 2 dicembre 2007. I professori Segni e Guzzetta saranno stati molto contenti della sincerità del Ministro Mastella? Lo stesso Mastella avrebbe poi definito “tentativo avido” la paventata introduzione di soglie di sbarramento decenti ovvero la riduzione territoriale delle circoscrizioni proporzionali proposta dal professor Vassallo.
vero è che alcuni istituti meglio di altri, ed a differenza di altri ancora, possono assecondare l’accordo politico-istituzionale e facilitarne il mantenimento nel tempo.
Se è la preliminare negoziazione politica (per la distribuzione dei collegi uninominali ad uno o due turni, per la composizione del listone di risulta dei referendum, per l’attuale accoglienza degli “ospiti” nelle liste più grandi) che porta a raggruppare in Parlamento le pattuglie di partitini, è vero anche che l’attuale combinazione tecnica (alla Camera dei deputati), di un ragionevole premio nazionale con soglie di sbarramento irrisorie, produce un effetto disgregativo opposto alle finalità degli istituti (se correttamente previsti ed applicati).
Uno sbarramento al 5% serve proprio a neutralizzare l’effetto indiretto che il premio, da solo, può avere: scatenare le furie di accoppiamento tra le formazioni politiche grandi ed i nanetti - giova ripetere che, comunque, le stesse furie c’erano (e ci saranno) anche con il collego uninominale -.
Dall’altro canto, il premio non aumenta la frammentazione annullando l’efficacia della soglia di sbarramento, ma spinge a coalizzarsi nei limiti della ragionevolezza politica, se è accompagnato dal non conteggio, alla coalizione (ed ai fini del premio), dei voti dei partitini sotto il 5%. Così ai poli resta solo l’interesse a togliere i voti sottosoglia all’avversario: i nanetti possono solo minacciare di portare le loro percentuali dall’altra parte. Ma questo residuale interesse ha sempre un esorbitante prezzo politico in termini di coerenza del programma e tenuta della compagine di governo (o di opposizione). Perciò si punterà alla ragionevolezza politica nelle alleanze con i nanetti. Non è così oggi che i voti sottosoglia si contano alla coalizione, e quindi valgono doppio (1 voto sottratto + 1 voto acquisito).
L’ottimo sarebbe se le coalizioni si facessero tra i veri partiti, ma se anche accadesse che le coalizioni accettassero l’appoggio dei partitini, essi non potrebbero accampare pr sulla vittoria. L’essere ospitati nelle liste delle forze gr li ripagherebbe della loro marginale dote, ancora utile solo per i voti sottratti all’avversario nella gara a chi arriva primo.
Per togliere anche quest’ultimo appiglio ai partitini, serve l’accordo politico-istituzionale detto, che deve permanere anche dopo la fine del governo di salute pubblica, e nelle successive leg2) Ho sostenuto che il pregio del premio di maggioranza nazionale in un sistema proporzionale di lista con sbarramento nazionale, rispetto ad ogni altro istituto (collegio uninominale, doppio turno uninominale, listone referendario, e - da ultimo - ridotte circoscrizioni del modello spagnolo), è quello di garantire che il vincitore abbia i numeri in Parlamento per governare. A questo risultato non raggiungibile con altri si aggiunge un altro pregio complementare al primo: il fatto che il premio registra più facilmente le fluttuazioni del consenso politico che non il maggioritario uninominale. In quest’ultimo ci vogliono spostamenti minimi (perché nel singolo collegio), ma spalmati uniformemente sul piano nazionale (perché nella maggioranza dei collegi), per avere grandi cambiamenti in seggi. Invece il premio dà grandi cambiamenti in seggi con minimi spostamenti di voti sul piano nazionale.
Anche perciò il condizionamento dei nanetti (che, giova ripetere, preesistevano sia al premio di maggioranza, sia al collegio uninominale) è minore di quanto non sia con l’uninominale.
26 In sede di trattativa pre e post elettorale.
27 Oltre che nelle loro, destinate a scomparire.
28 Mette lucidamente in guardia dalla capacità di autoriprodursi della frammentazione, qualunque sia il meccanismo tecnico con cui la si combatte, quando non permanga l’accordo per il suo superamento, il professor Pombeni, nel suo Le ragioni del dialogo. Perché il paese ha bisogno della riforma elettorale, in «Il Messaggero», 3 dicembre 2007.
29 In particolare, cfr. F. Andreatta, Premio di maggioranza. La rinuncia è un errore, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007.
Le forze politiche più grandi (vecchie e nuove), rinunciando al premio di maggioranza nazionale, proprio ora che, pare, ci sia l’accordo per serie soglie di sbarramento dirette ed indirette (riducendo le circoscrizioni), e quindi si stiano ponendo i presupposti per una seria lotta alla frammentazione, mostrano una malafede mista di ipocrisia e di pavidità. Ipocrisia, perché attribuiscono ad un istituto la colpa (non sua!) del loro essere costrette a caricarsi tutti in un unico carrozzonper rastrellare fino all’ultimo voto; cosa questa, che maliziosamente hanno intenzione comunque di continuare a fare, semplicemente, per vincere le elezioni (come si fa da che mondo è mondo) se non il premio. Assenza di coraggio, perché non vogliono rischiare di fare politica per vincere le elezioni, non avendone probabilmente le capacità (da cui la mancanza di coraggio) e forse non riuscendo neanche a capire cosa voglia dire. In mala fede vogliono continuare nella comoda e rassicurante prassi feudale di inglobare le oligarchie dei nanetti detentori di pacchetti preconfezionati di voti clientelari e/o ideologici.
Il mantenimento del premio, però con uno sbarramento vero, avrebbe messo le due forze politiche a vocazione maggioritaria nell’imbarazzante (perché assai responsabilizzante) situazione di potere vincere e governare da sole (o con una alleanza programmatica con i due o tre partiti resi se solo la loro proposta politica avesse raccolto un solo voto in più dell’altra.
III. La pendenza dei quesiti referendari ed i loro effetti paradossaliNel nostro paese è diffusa una ricerca/accettazione dell’illegal La società politica conseguentemente produce quella che viene definita una casta. E la critica a quest’ultima è tanto inconcludente ed autoassolutoria, quanto lucrosa per chi vi indirizza (ed investe) prodotti editoriali/televisivi. La soluzione a questo dato di fatto non può venire da una diversa contingente proposta politica (giacché tale casta è per definizione trasversale), né tanto meno da una “reazione popolare” di una supposta immacolata società civile contro un mefistofelico palazzo; bensì attraverso una ripresa della crescita culturale-morale di ogni singola persona, ciò che è il più alto fine etico-polInvece, con cicli frequenti, si avvicendano fenomeni riconducibili ad ancestrali riti di purificazione: uno di questi è l’ultimo “salvifico” referendum. Come ogni rito od allucinazione collettiva, esso ha solo la funzione di narcotizzare la coscienza collettiva (rectius opinione pubblica) per un po’ di anni, continuando a nasconderle la sua responsabilità. Il processo di autoassoluzione dalle responsabilità sociali esclude per definizione, ovviamente, che vi sia una maliziosa intenzione di alcuni (nella fattispecie dei proponenti i quesiti referendari): si tratta, propriamente, di una allucinazione collettiva.
Non si risolve lo sbarramento ed il premio di maggioranza irragionevolmente regionali al Senato (irragionevoli e tutt’altro che rispettosi del dettato dell’art. 57 della Costituzione); né 30 Queste considerazione sarebbero emerse durante il recente incontro in Piazza Santa Anastasìa; per questo cfr. C. Tito, Il premier a Veltroni: Così si rischia”. Ma il sindaco: Si deve andare avanti”, in «la Repubblica», 4 dicembre 2007.
31 Si vedano le illuminanti dichiarazioni del Presidente Violante (cfr. T. Bartoli, Violante: “C’è una maggioranza sul sistema tedesco”, in «Il Mattino», 4 dicembre 2007). Si era pur assistito ad un netto atto di coraggio da parte del Presidente Berlusconi (a cui pur non aveva fatto riscontro un analogo atto da parte del sindaco Veltroni), che però è poi ritornato sui suoi passi, rassicurando l’onorevole Bossi (a cena) sull’adattamento delle soglie di sbarramento alle possibilità della Lega. Sull’iniziale coraggio del Presidente Berlusconi, cfr. G.B. Bozzo, Il coraggio di avere coraggio, in «il Giornale», 6 dicembre 2007.
32 Rifondazione da una parte, UDC e/o AN dall’altra.
33 Non intendo addentrarmi in una ricerca delle ragioni di questa diffusa devianza, mi limito a considerarla come un dato di fatto.
34 A ciò si potrebbe tendere, in primis, con un’istruzione scolastica che fosse tale, e con una educazione alla lettura ed alla cultura in generale; secondariamente, con la riappropriazione del ruolo genitoriale e con un drastico contenimento dell’azione (di livellamento verso il basso) svolta dalla scatola luminosa televisiva da circa trenta anni.
si pone rimedio alla possibilità di maggioranze diverse nelle due Camere. L’unico effetto positivo indiretto della normativa di risulta è quello, espungendo ogni riferimento alle coalizioni, di eliminare i meccanismi che vanificano le soglie di sbarramento (attraverso la loro differenziazione a seconda che la lista sia coalizzata o meno).
Ma la conseguenza più perniciosa degli attuali quesiti referendari proposti (in particolare dei primi due) è quella di condizionare la riforma della legge elettorale in Parlamento. Si è sentito più volte dichiarare che i referendum sono utili come stimolo al legislatore.
È invece evidente che, per via di una interpretazione maggioritaria (che non mi convince) circa le modalità del trasferirsi dei quesiti posti sulla legge elettorale eventualmente riformata, i referendum, per il loro solo esserci, stanno costringendo il Legislatore a seguire un sentiero già segnato.
Mi riferisco alla convinzione diffusa che non sia possibile mantenere il premio di maggioranza (sia, o non, espressamente previsto l’eventuale assegnazione anche ad una coalizione) senza incorrere in questa evenienza.
Intanto, questa interpretazione presuppone, neanche tanto velatame due pregiudizi non dimostrabili (anzi discutibili) diffusi in dottrina:1) che i problemi della attuale legge elettorale siano dovuti al premio di maggioranza e/o si risolvano solo sopprimendolo tout court;2) che l’ottimo in assoluto sia il supposto istituto alternativo al premio di maggioranza, cioè il collegio uninominale.
Ho provato precedentemente a discuterli, e non mi ci soffermo oltre, dando per scontato che queste valutazioni (sui sistemi elettorali) non influiscano sulle catene argomentative seguite per arrivare ad affermare il trasferimento sulla lex superveniens.
Andando ad analizzare i quesiti: a stretto rigore lessicale, essi espungono, in generale, le locuzione coalizione/i (e il connesso aggettivo collegate), e quindi non insistono sulla locuzione “premio di maggioranza”.
Nel merito, è possibile, migliorando come proposto la resa del proporzionale corretto (e, per quello che ora rileva, del premio), evitare il referendum, anche stabilendo espressamente che il premio di maggioranza possa andare alla “lista” od alla “coalizione di liste”. Infatti, per evitare i referendum, il legislatore deve modificare i principi ispiratori della complessiva disciplina sottoposta a giudizio. Ma i principi ispiratori della complessiva disciplina si possono modificare, anche e soprattutto, modificando nel dettaglio gli istituti, così dal modificarne il loro funzionamento, la loro rispettiva interconnessione, la resa finale, ed in ultimo la disciplina complessiva. Non serve un legislatore che usi la mannaia per evitare le modifiche meramente formali.
Chi dovesse decidere dell’eventuale trasferimento dei quesiti sulla nuova legge elettorale dovrebbe valutare sia l’intenzione del comitato promotore (che non deve essere assolutamente frodata) sia l’interesse, se possibile ancora più diffuso, dei cittadini sottoscrittori dei quesiti, a che sia salvaguardata la loro, potenzialmente sempre libera e sovrana, valutazione dell’an della loro firma. Questa libera, informata e consapevole valutazione dei cittadini elettori non può essere sostituita da automatismi interpretativi che legano i quesiti a delle paroline ovvero a degli istituti (anche in maniera imprecisa, come si è visto), senza considerare la assai diversa resa effettiva che uno stesso istituto ha in un ambito normativo modificato sensibilmente.
Nel caso si ponesse la necessita di procedere ad una giudizio di ponderazione degli interessi, non vi sarebbe dubbio che la tutela della libertà e consapevolezza di giudizio dei sottoscrittori dovrebbe prevalere assolutamente sulle intenzioni degli estensori dei quesiti.
35 Si arguiscono chiaramente, ad esempio, in due autorevoli interventi: F. Bassanini, La riforma elettorale e il referendum, in «Corriere della Sera», 28 novembre 2007; e l’intervista al professor Ceccanti, M.G. Bruzzone, “Tedesco puro? No. È incompatibile con la nascita del PD”, in «La Stampa», 4 dicembre 2007.
Sarebbe, comunque sempre possibile la proposizione, anche degli stessi quesiti, con la connessa raccolta di firme, ma questa volta i cittadini potrebbero fare delle valutazioni diverse sul se firmare gli stessi interventi abrogativi, calati questa volta su una normativa elettorale politica assai migliorata nel suo funzionamento complessivo e nella sua resa.
Vi è poi una ulteriore obiezione fondamentale a questi quesiti: ed è quella che sarebbero state possibili altre manipolazioni abrogative; quelle indicate non sarebbero le uniche possibili; quindi, perché 821 mila firme dovrebbero imbrigliare la discussione politica, e costringere decine di milioni di elettori a pronunciarsi sulle sole manipolazioni proposte, e sulla trasformazione della normativa elettorale attuale solo nel senso (parzialissimo e monco) proposto, e non in un altro?Concludo domandandomi se, per come è previsto, regolato, praticato nel sistema costituzionale-politico, il referendum sia realmente uno strumento di esercizio diretto delle funzioni proprie del potere sovrano, soprattutto su materie tanto complesse, con buona pace del professor Segni che sostiene che i quesiti sono chiarissimi (M. Segni, Informazione imbavagliata. Le verità sul referendum che la tv non vuole dire. I media la snobbano perché manderà a casa politicanti e partitini, in «Libero», 6 dicembre 2007). Sì, sono, chiarissimi, ma è lo strumento che non è adatto: è come acchiappar mosche con una accetta.
Su materie tanto complesse, il referendum rischia di rivelarsi uno strumento di usurpazione di funzioni sovrane, delegate legittimamente alle Istituzioni rappresentative; usurpazione da parte di esigui gruppi di azione (e di pressione), per di più strumentalizzati demagogicamente da diffusi settori della politica (basti, a prova di ciò, vedere le autorevoli firme politiche); settori che non hanno consapevolezza dei problemi, ovvero hanno solo interesse a tenere vivo il loro appeal elettorale (illudendo i cittadini).
Dopo aver accennato al macigno che il referendum costituisce sulla via della riforma in Parlamento, devo mettere in luce gli effetti paradossali che quest’ultimo ha nei confronti del premio di maggioranza.
Abbiamo visto che la sola presenza dei quesiti referendari, potrebbe produrre due ipotesi alternative:a) il Legislatore potrebbe farsi condizionare dalla accennata interpretazione prevalente (ma con processi argomentativi differenz e quindi abbandonare il premio di maggioranza;ovverob) la Corte costituzionale, se il Legislatore, miracolosamente autonomo nel giudizio, mantenesse il premio di maggioranza nazionale, potrebbe avallare la stessa interpretazione dottrinaria.
Nell’ipotesi sub a), non si andrebbe a referendum, pagando il prezzo della perdita del premio; nell’ipotesi sub b) si avrebbe comunque il referendum e l’effetto finale, e paradossale, sarebbe, soprattutto se vincesse il sì, quello di confermare e rendere intoccabile il premio di maggioranza, anche se accompagnato da tutti i gravi limiti della normativa di risulta referendaria.
Tutto sommato, se devo scegliere, ed anche se penso che il referendum è un inutile, antidemocratico, rito magico, le conseguenze dell’interpretazione cieca suaccennata, me lo fanno preferire, pur di mantenere nella legge elettorale politica il premio di maggiora 36 Che potrebbero denotare non limpidezza sulla sincerità dei metodi del ragionamento giuridico.
37 Sulla preferenza per gli esiti del referendum rispetto ad un proporzionale privo di esso, si esprimono: F. Andreatta, Premio di maggioranza. La rinuncia è un errore, in «Corriere della Sera», 5 dicembre 2007; R. De Mucci, Proporzionalismo, polpetta avvelenata di Walter, in «Il Tempo», 16 novembre 2007.
Si insegna che possono essere sostenute tutte le tesi purché siano argomentate e documentate; ma dato che le scienze sociali, tra le quali rientrano la teoria costituzionale e la teoria politica, hanno il difetto di non essere scienze esatte, nessuna prova di laboratorio può validare od invalidare gli argomenti usati. Ho cercato perciò di argomentare le mie tesi con delle osservazioni sui dati evidenti del comportamento effettivo degli attori politici.
Mi sembra invece, che nella discussione in dottrina vi siano delle mode, delle blasonate fascinazioni intellettuali, a cui si guarda acriticamente, ma che, avendo il pregio della autorevolezza e della semplicità, si prestano ad essere fatte proprie dai legislatori, con risultati non sempre positivi (si veda: ieri, lo spezzettamento del premio di maggioranza al Senato della Repubblica, indotto da una interpretazione a dir poco miope dell’art. 57, primo comma della Costituzion oggi la possibile espunzione del premio di maggioranza nazionale per l’improvvida pendenza dei quesiti referendari).
Parafrasando il professor forse la politica pura (ed io aggiungo, la dottrina costituzionale pura) la capisco, ma non fa per me.
* Documentarista del Senato della Repubblica - Cultore di Storia delle codificazioni presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss di Roma 38 La lettura della discussione in Assemblea Costituente prova l’infondatezza storica, lessicale e razionale delle preclusioni al premio di maggioranza nazionale (ed allo sbarramento nazionale) al Senato della Repubblica.
39 G. Sartori, Se io fossi un politico, in «Corriere della Sera», 28/11/2007.

Source: http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0008_argondizzo.pdf

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